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Quando lo sport più amato era il tamburello

Scurzolengo, Cremolino, Odalengo, Codana, Monale, Tonco, Cunico, Cocconato, Ovada e ovviamente Murisengo, definita “la capitale morale del tamburello”, sono tutti piccoli paesi del Monferrato dove ancora oggi nei giorni festivi possiamo imbatterci in folti gruppi di persone pronte a tifare per i loro beniamini nel gioco del “tambass”, o tamburello in italiano. Questa disciplina trae origine dalla pallapugno e dal “gioco al bracciale”, il vero sport nazionale italiano prima del calcio. Giochi simili si praticavano fin dal Medioevo e ogni secolo ha avuto le sue versioni. Erano sport diffusi a macchia di leopardo soprattutto nel centro e nord Italia, Toscana, Veneto, Liguria, Lombardia e ovviamente Piemonte. Seguitissimi dal pubblico e adorati anche da alcuni scrittori famosi, piemontesi e non, come Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Giovanni Arpino e Edmondo De Amicis.

Si giocava sui fianchi delle chiese, nei cortili dei castelli e si basava sulla partecipazione collettiva dell’intera comunità: bisognava segnare il campo, trovare le maglie, le palline, le squadre avversarie, l’arbitro, i segnapunti, e ogni abitante faceva la sua parte. Il tamburello a muro aggiunge anche un’incognita al gioco, dato che, lanciando la pallina contro la parete, la traiettoria può variare in modi imprevedibili e sta alla bravura dei giocatori capire come. In più, rispetto alla versione in campo aperto, gli sferisteri di questo tipo hanno dimensioni e forme diverse, essendo di fatto delle semplici piazze. Nonostante le crisi cicliche e l’ennesima apparente scomparsa del gioco negli anni Novanta, in realtà non si è mai smesso di giocare: il tambass infiamma i cittadini nelle piazze e negli sferisteri portando fedelmente avanti la tradizione sportiva piemontese.
Alla scoperta del tamburello questa settimana su Rivista Savej.