Potrà sembrare una contraddizione ma fu la passione per la caccia in quota del re Vittorio Emanuele II che consentì, a metà Ottocento, di mettere in sicurezza le popolazioni alpine dello stambecco e di rafforzare la tutela della fauna e la conservazione ambientale di estesi territori montani piemontesi e valdostani. Già nel 1820 l’alpinista Joseph Zumstein, detto de la Pierre, lanciò l’allarme sulla critica situazione degli stambecchi: a causa di una caccia sregolata la popolazione dell’ungulato alpino era ridotta a qualche decina di esemplare nelle vallate del Gran Paradiso. Dopo un primo divieto di caccia emanato nelle Regie Patenti da Carlo Felice il bracconaggio proseguì per la difficoltà di far rispettare la legge: appena una cinquantina di guardiacaccia doveva vigilare su tutto il vasto territorio del Regno di Sardegna, al tempo composto non solo dal Piemonte e dall’isola mediterranea, ma anche da Liguria, Savoia e Nizzardo.
Vittorio Emanuele II, grande appassionato di caccia montana, istituì nel 1856 e nel 1857 tre distretti di caccia, due sul Gran Paradiso e uno nelle Alpi Marittime. Ogni distretto era sottoposto a un comandante da cui dipendeva un apposito corpo di guardiacaccia – un vero e proprio organo di polizia, organizzato gerarchicamente – che controllava il territorio, contrastava i bracconieri, vigilava le proprietà reali e accompagnava i sovrani e i loro ospiti alle battute di caccia. Prima della nascita dei primi parchi nazionali italiani negli anni Venti del Novecento, le riserve di caccia furono strumenti importanti per la conservazione della fauna ed ebbero successo nell’obiettivo di accrescere le popolazioni di stambecchi e camosci. Lo sfruttamento venatorio limitato alla prerogativa reale comportava, infatti, più benefici che svantaggi per la natura alpina grazie a una maggiore efficacia nella sorveglianza e alla più efficiente gestione dei territori. A farne le spese furono invece le specie di predatori, come lupi, orsi, aquile, volpi e lontre ritenuti dannosi sia per la selvaggina sia per le attività agropastorali.
Scopriamo la storia della salvaguardia faunistica in Piemonte su Rivista Savej!